I datteri di Maria, una storia che costruisce ponti.
Ieri alla Grande Moschea c'è stato un incontro tra uomini e donne di buona volontà, -di volontà buona-, di varie fedi religiose, soprattutto si è cercato un "ponte" tra cristiani e musulmani nel nome di Maria. L'evento è stato organizzato dalla Karol Wojtyla International Association diretta dalla dott.ssa Rosanna Cerbo. Questo il mio breve intervento.
È un evento semplice quello narrato dal Corano: la nascita di Gesù da Maria Vergine sotto una palma, con l'angelo che suggerisce a Maria di scuotere la pianta per far cadere i datteri necessari al suo nutrimento e a quello del bambino.
Leggiamo direttamente il breve passo della Sura XIX:
I dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma. Diceva: «Me disgraziata! Fossi morta prima di ciò e fossi già del tutto dimenticata!».
24. Fu chiamata da sotto: «Non ti affliggere, ché certo il tuo Signore ha posto un ruscello ai tuoi piedi;
25. scuoti il tronco della palma: lascerà cadere su di te datteri freschi e maturi.
26. Mangia, bevi e rinfrancati.
È un’immagine che, nel tempo, è diventata poetica, luminosa, iconica. Ed è l’immagine che oggi ci apre alla speranza di costruire ponti, dialogo, relazioni, collaborazioni, comunioni. La più evidente relazione e apertura con la realtà cristiana, ci viene indicata dalla Legenda Aurea scritta da Jacopo da Varazze, iniziata a partire circa dall'anno 1260 e continuata fino alla morte dell'autore, avvenuta nel 1298. Essa riprende il racconto dal vangelo apocrifo di Matteo, dove si narra il medesimo episodio della palma che, durante la fuga in Egitto, si inchinò perché Maria e Giuseppe ne potessero cogliere i datteri per cibarsi. Due testi analoghi che ci autorizzano a questo incontro e lo giustificano ampiamente.
Proviamo adesso a isolare le componenti di questa semplice narrazione.
Abbiamo per prima cosa
· la fame (Maria e il bambino hanno bisogno di nutrirsi), poi c’è
· l’Angelo (messaggero celeste e aiuto per gli uomini),
· la palma,
· i datteri,
· Maria, “consacrata a Dio”, citata nel Corano 31 volte,
· la Natività
· e Gesù
L’ordine che ho proposto alla vostra attenzione non è casuale.
La fame, il nutrimento sono ovviamente all’inizio, condizione imprescindibile per sopravvivere, ma l’immagine narrata ci racconta che il nutrimento, la vita, vengono da Dio e grazie a Lui si può costruire fondatamente la speranza per il futuro. Dunque, prima ancora che noi oggi cerchiamo doverosi ponti di collegamento e dialogo con i fratelli musulmani sul piano storico-culturale e religioso, c’è il primo ponte, quello che dà senso e orientamento a tutto: il nutrimento viene dal cielo, da Dio, perché aver fame è gridare, se lo abbiamo dimenticato nelle nostre follie ideologiche, che siamo limitati, che siamo entità fugaci, transitorie, fuggevoli. Quella fame di Maria e del bambino è la nostra fame e chiede un autentico nutrimento che non è destinato a consumarsi. Tutti noi dobbiamo fare i conti con i nostri bisogni e i nostri limiti, come Maria e il bambino, ma la vita ha il suo fondamento celeste e solo Dio ne è vero artefice: Maria ha dato vita al bambino, ma è Dio che ha dato vita a Maria e al bambino. È Lui, per tutti, il presupposto di ogni esistenza. Ed ecco perché secondo la tradizione musulmana, il dattero è il frutto del paradiso.
Per questo motivo c’è l’angelo, il messaggero, l’aiuto celeste, il mediatore alle umane richieste. Non siamo mai abbandonati da Dio e la nostra limitatezza, riconosciuta e consapevole, sa che solo Lui può strapparci dalla sofferenza, dall’indigenza, dalla morte. Se la fame è il segno di una condizione critica, l’angelo è il datore di vita e di speranza. Vita e speranza di cui l’angelo è però soltanto portatore, ambasciatore, messaggero, inviato e guidato da Dio. L’angelo è l’aiuto celeste, la mano invisibile di Dio che ci soccorre.
Poi c’è la palma. Una pianta che, in tutte le culture, è carica di simbologie convergenti: vita e speranza, fertilità e vittoria, bellezza e armonia, stabilità e grazia. La palma che nutre Maria e il bambino è tutto questo. Fa da riparo e si fa custode dell’avvenuta maternità, fornisce il cibo necessario, protegge con discrezione una giovanissima madre e il proprio figlio. Basta scuoterla, secondo il suggerimento angelico ed essa è pronta per servire Maria e Gesù.
Nei commenti a questa narrazione della Sura XIX si legge:
«scuoti il tronco»: certamente Allah (gloria a Lui l’Altissimo) avrebbe potuto far cadere i datteri direttamente su Maria e invece le chiede uno sforzo personale, un atto di volontà. Nella vita dei devoti l’abbandono ad Allah non deve impedire il fatto di essere presenti a se stessi, volitivi e attivi.
E Maria si affida e fa quanto richiestole.
La palma offre datteri. Questi frutti, in Medio Oriente sono sempre stati e sono tuttora simbolo di fertilità e di prosperità. Davanti alle porte di molte case la loro presenza dà il benvenuto agli ospiti. Una volta questi frutti si raccoglievano soprattutto a ottobre, così che il termine arabo tamr, tamar indica nel medesimo tempo il mese, ottobre, e il dattero. Mangiare i datteri è per i musulmani l’atto con cui si inizia il mese di Ramadan.
La stessa palma da dattero, dunque, è una pianta sacra o, se vogliamo, in parole confacenti al mondo laico, è oggi considerata, dalla fine del 2019, “patrimonio orale e immateriale dell’umanità”: forse è stato il primo albero coltivato dall’umanità, visto che ne abbiamo notizie sin dal 4.000 a.C..
In una prospettiva religiosa basterà ricordare che il dattero è considerato come un frutto originato dalla stessa materia dell’uomo tanto che nella tradizione musulmana Allah ha creato l’albero da datteri dalla creta avanzata dopo aver generato Adamo. Il Corano cita questa pianta diciassette volte.
Personalmente la trovo veramente come un dono di Dio, con le caratteristiche misteriose dell’affidarsi. Si pensi soltanto che la sua impollinazione e diffusione, e la colonizzazione di terreni sconfinati, è affidata …all'invisibile, al vento.
Ed ecco poi Maria, la creatura che ha generato Gesù e che è riparata con Lui sotto le grandi fronde della palma. Per la sua particolare maternità e per la sua adesione incondizionata a Dio, è indicata come modello ai credenti, uomini e donne.
Vita, speranza, armonia, grazia, di cui abbiamo sin qui parlato, sono concentrate tutte in una donna. È una donna che dà la forza di aprirsi al domani; è una donna che si riconosce creatura, limitata e bisognosa di Dio; è una donna che esemplifica il giusto rapporto di fiducia e abbandono a Dio; è una donna che ascolta e si fida della voce dell’angelo; è una donna che fa convergere le fedi cristiana e musulmana, una fragile giovanissima donna. Da sola è un presepe, semplicissimo, essenziale, sobrio, ma carico d’infinito.
Il comportamento di Maria con il suo affidarsi a Dio illumina la stessa natività. La natività è certamente sorgente di speranza, come avviene per la nascita di un bambino, ma lo è solo perché radicata nel fondamento celeste, in Dio, ché altrimenti, senza Dio, altro non sarebbe che la perpetuazione illusoria della specie, una, forse, disperata brutta copia dell’eternità. Il fondamento della vita viene dal cielo e l’orientamento stesso della vita deve venire dal cielo. L’uomo può coltivare speranze e progetti, ma se non li radica in Dio, rischia ogni volta di trasformare, anche in buona fede, questi suoi obiettivi in mere ideologie. E in Dio e con Lui non esistono divisioni, opposizioni, contrapposizioni, separazioni, scissioni. Queste appartengono alla storia, alla sua mutevolezza capricciosa e umana troppo umana.
E infine Gesù. È un bambino fra le braccia di Maria. Dipende da lei, si affida a lei e come in un crescendo di accoglienza, Dio mediante la palma e i suoi datteri protegge e nutre Maria come Maria protegge e nutre Gesù.
Il nostro problema, in fondo, per essere semplici ed essenziali come ciò che stiamo qui celebrando, è trovare nella vitale comune fede in Dio la palma da datteri che possiamo, anzi dobbiamo scuotere, per nutrirci del dono celeste e dare vita a una nuova vita.
Grazie, Professore. Bello, filosofico e perfino poetico.